Archivi del mese: settembre 2010

il punto di vista tedesco.

La campagna d’Italia.

Il punto di vista di questo famoso generale è contenuto in un volume che, se letto con una certa attenzione e senza troppi pregiudizi storici e morali, desta estremo rispetto e talvolta ammirazione per la serenità di giudizio. Sto parlando di SOLDATO fino all’ultimo giorno. E al proposito del bilancio della campagna d’Italia sgombra subito il campo da inutili retoriche dichiarando di astenersi da qualsiasi dichiarazione di carattere politico puntualizzando però che l’entrata dell’Italia in guerra, avvenuta in un momento sicuramente inopportuno, non era stata né richiesta né desiderata dalla Germania che aveva, tra l’altro, un grande interesse alla neutralità italiana. Questa frase, da sola, avrebbe probabilmente fatto sobbalzare (eufemismo) molte persone che oggi non ci sono più per ragioni anagrafiche. Dico questo perché ho sentito spesso ripetere il contrario in molti documentari video.

Dice Kesselring che la situazione politica e militare era, a quel tempo, una circostanza di fatto alla quale bisognava in qualche modo rassegnarsi. Ogni eccessivo allargamento della guerra presenta svantaggi incontestabili, soprattutto per le nuove esigenze imposte al potenziale bellico e per le conseguenti difficoltà inerenti i rifornimenti e i comandi militari. I paesi in guerra hanno sempre mirato a portare le ostilità in territorio nemico per risparmiare il proprio e questo era un pensiero fisso di tutti i generali tedeschi. Ovvio. Lo sgombero di tutta l’Italia e la difesa del Reich su posizioni alpine non avrebbe portato ad un potenziale risparmio di forze ma, contrariamente, avrebbe condotto ad una situazione decisamente pericolosa per la conseguente libertà completa di movimento degli Alleati in direzione della Francia e dei Balcani, dando loro la possibilità di allestire numerose basi aeree per colpire la Germania e l’Austria con efficaci bombardamenti sulle vie vitali di rifornimento. Qualora si fossero volute effettuare con qualche probabilità di successo le operazione di ritirata, si sarebbero dovuti compiere preparativi di lunga mano, cioè fin dal 1942/43, il che non era proprio né pensabile né possibile, non foss’altro che per motivi politici.

Con questo punto di vista appare evidente che che la lotta per l’Italia era non solo opportuna, ma assolutamente necessaria.(!!!) Se si fosse avuto per obiettivo la fine anticipata della guerra, rinunciando a valersi delle possibilità di successo che ancora esistevano, si sarebbe allora dovuto ritenere inutile la guerra nel Mediterraneo.

Kesselring aggiunge che, dal suo punto di vista, al risultato negativo della campagna d’Italia e di fronte alle forti perdite la situazione bellica generale ne è risultata avvantaggiata. Si possono infatti contrapporre anche elementi positivi. (!?!) L’esistenza di un teatro di operazioni in Italia ha vincolato forze alleate che, se impiegate su altri fronti, avrebbero influito in modo severamente sfavorevole per la Germania sia sul lato Occidentale, sia su quello Orientale. Detta così mi sembra terribile; le nazioni, le culture, le tradizioni, gli uomini, non possono essere relegati al ruolo di cuscino o di scudo! Non stiamo parlando di mattoncini Lego da contrapporre al bolscevismo o quant’altro…

Il generale continua asserendo che grazie a questa visione bellica la Germania meridionale venne risparmiata fino quasi alla fine di aprile 45 e questa fu una circostanza determinante per la produzione di materiali vari e per la resistenza generica del paese. Ciò anche quando i destini della Germania erano già stati decisi dagli avvenimenti su altri fronti. Dopo l’invasione della Normandia, il teatro italiano assunse un carattere secondario, circostanza testimoniata dal ritiro di oltre 10 divisioni dall’Italia. Da parte nemica rimanevano invece vincolate le stesse forze di prima. Il fatto che si sia potuto mantenere il fronte italiano nelle condizioni esposte, nonostante l’assoluto dominio del cielo da parte alleata, deve essere considerato dagli storici come il “massimo risultato conseguibile”, perché un’operazione di occupazione con tale disparità di forze sarebbe stata impensabile come iniziativa militare sulle carte di qualsiasi generale. Probabilmente, il successo di insieme sarebbe stato più evidente se i combattimenti del mese di aprile 1945 si fossero potuti svolgere col libero gioco delle forze, senza impedimenti da parte del Comando supremo. Nota polemica, questa e non condivisibile per numerosi motivi.

In un altro punto della sua disamina, Kesselring, nonostante la sua fama di italiofilo (a suo dire), ci bacchetta affermando che le unità italiane, assai superiori di effettivi, non combatterono mai il nemico con eguale accanimento e che il suo Comando e quello supremo sopportarono pazientemente questo stato di cose per riguardo all’amicizia verso l’Italia. Qui, personalmente e 70 anni dopo, mi farei volentieri una sonora risata! Interessante la ulteriore l’ulteriore differenziazione della tipologia del nemico che Kesselring ha definito come quella adottata da tutto il personale bellico tedesco; per noi gli Alleati erano “gli avversari”, che usavano mandare avanti principalmente la “carne da cannone” (neozelandesi, brasiliani, polacchi avversi, gurka, francesi ribelli, russi, etc.) e poi si facevano grandi dei successi dei subalterni (questo è un po’ vero…); ma gli ” italianen ” del dopo 8 settembre erano ” stra-ODIATI ” per il tradimento (endemico nella razza italiana) attuato verso i tedeschi e verso gli italiani stessi (parlando della fuga ignobile di Vittorio Emanuele III).

Questo tipo di affermazioni non vengono esplicitamente riportate nei documentari generalisti, ma trasudano spesso dai concetti espressi da molti reduci che vogliono raccontare il sentimento verso gli italiani e Kesselring rincara il giudizio aggiungendo che fu proprio questo stato di cose che indusse il tedesco a trasformare la fratellanza d’armi in una serie di brutali assassinii contro coloro che erano stati loro alleati. Qui però il generale si lascia andare ad una semplificazione della questione dimenticando tutte le 800 stragi in Italia perpetrate dalle SS e dalla Wermacht! Io ricordo però che Kesselring era un nazista convinto che a fine guerra amava raccontare nelle birrerie di Monaco le sue nefandezze con veemenza.

Ho avuto il desiderio di riportare alcuni dei concetti-madre di questo generale che ritengo abbia scritto ammorbidendo molti toni, soprattutto nei riguardi degli italiani, per far conoscere il punto di vista tedesco (chiaramente di parte) nella questione italiana. E’ mio parere che comunque il tedesco abbia pagato troppo poco e in modo sbagliato per quello che ha fatto; eventuali attenuanti non potranno condurre ad una “tumulazione” dell’argomento, neanche dopo 70 anni. Solo rimane il rammarico che la giustizia politica del dopoguerra non abbia saputo essere svincolata dagli interessi dei potenti di quei giorni. Me se si avesse voluto o potuto fare giustizia con le proprie mani verso i tedeschi, facilmente si sarebbe passati dalla parte del torto e finito con l’assomigliare agli antichi giustizieri del ’43. A volte, la legge del perdono è terribilmente frustrante. E’ una mia idea.

not to forget


la liberazione di Mussolini


A mio modo di vedere, c’è un elemento che emerge con molta chiarezza dai fatti del 12 settembre 1943; il protagonista, cioè Mussolini, lo fu assolutamente controvoglia per l’ostinato zelo soccorritore del Fuhrer, per la pusillanimità ed il pressappochismo di alcuni fedelissimi e, direi, per l’inerzia delle cose che ormai superava le volontà e le ambizioni di un regime già crollato. La liberazione del Duce dal Gran Sasso fu decisamente determinante per le vicende italiane dopo l’8 settembre. In questa località, chiamata Campo Imperatore e a 2000 metri d’altezza, vi si accedeva solo mediante una funicolare che partiva dal sottostante paesino di Assergi; un posto molto isolato, militarmente imprendibile, si disse. Sorvegliatissimo. (Ma dai!)

Agli ordini dell’ispettore capo di pubblica sicurezza Giuseppe Gueli furono disposti nell’albergo 250 carabinieri che avrebbero dovuto impedire ogni imprevedibile sorpresa. Dico ancora, che Badoglio prescrisse che in nessun caso Mussolini avrebbe potuto riguadagnare la libertà; pena anche un esecuzione sommaria! il buon Badoglio!

L’ ANTEFATTO.

Il prigioniero era stato trasferito prima a Ponza, dove trascorse 12 giorni, per ironia della sorte, alloggiato in una casa vicina ad alcuni famosi antifascisti come Zaniboni (il socialista che nel ’25 attentò alla sua vita) e Pietro Nenni; poi alla Maddalena il 27 agosto ove ne aveva trascorsi 20,  infine venne trasferito a Campo Imperatore a bordo di un idrovolante della Croce Rossa che era ammarato nel lago di Bracciano e poi a bordo di un’ autoambulanza, sempre accompagnato da Giuseppe Gueli e dal tenente dei carabinieri Alberto Faiola. L’albergo però ospitava ancora villeggianti e militari in convalescenza:pertanto si decise opportuno di spostarlo in una villetta per cinque giorni, mentre si provvedeva a far sgomberare la zona. Soltanto il 2 settembre Mussolini passò alla suite 201 dell’albergo: ingresso, soggiorno, due camere da letto e bagno. (mica… galera!) Mancava solo la televisione che, purtroppo, non era ancora stata inventata! Però poteva ascoltare la radio, ricevere visitatori e curiosi (!?!), scrivere e ricevere lettere. Cioè funzionava così: se tu sapevi in qualche modo che il Duce era lì, potevi scrivergli e lui ti rispondeva…, se ci andavi di persona, dovevi solo prendere un appuntamento (il minimo…! eh?) Fantastico. Quasi come dal dentista. E tutta questa “sicurezza” era stata approntata per sfuggire alla caccia dei tedeschi.

 Tito Zaniboni         Pietro Nenni


I TEDESCHI.

Dopo un certo numero di anni, finalmente, si sono potute appurare le opportune responsabilità ed i relativi nomi che hanno reso possibile ” l’operazione Quercia “, operazione che per anni ha avuto diversi padri immeritevoli. Il generale Student e Otto Skorzeny (direttore spregiudicato di un campo d’addestramento per SS), dopo aver ricevuto l’incarico diretto da Hitler di liberare l’amico Duce, decisero di contattatare il capo della polizia tedesca a Roma Herbert Kappler ( il boia delle Fosse Ardeatine) che da quel momento prese le fila delle indagini sulla caccia segreta a Mussolini, quasi bypassando l’incarico di intelligence demandato a Skorzeny. Fu un lavoro denso di insuccessi. Kappler era un poliziotto estremamente efficace; aveva i suoi infiltrati tra gli italiani, né più né meno di Carmine Senise (capo richiamato della polizia italiana a Roma, destituito proprio da Mussolini all’inizio d’aprile 43 e Badoglio lo aveva richiamato all’alba del 26) che aveva le sue spie nella polizia tedesca; quindi era un gioco quotidiano di continui inganni e sotterfugi. Ma, almeno nei primi giorni d’inchiesta, brancolavano veramente nel buio più assoluto.

GLI ITALIANI.

Si entusiasmarono soltanto quando venne fatta ritrovare da aiutanti di Kappler, una lettera di un militare italiano che confidava alla probabile fidanzata di essere “custode di una persona molto importante, che non posso nominare…“; Kappler allora sguinzagliò la sua Gestapo per individuare il nascondiglio deciso da Badoglio; la lettera, fabbricata ad arte dai servizi segreti italiani, parla di un posto segreto a La Spezia strettamente sorvegliato e ciò fa scatenare la corsa dei tedeschi, invece Mussolini è ancora a Ponza. Ma siamo già al 6 agosto e i tedeschi preparano l’operazione per liberarlo, ma quando arrivano sul posto….trovano un posto vuoto e si infuriano. Il pomeriggio tardi arriva loro un avvistamento: dall’isola di Ponza si è alzato un idrovolante per una località non precisata; corrono a Ponza ma Mussolini è già stato trasferito alla Maddalena!

Qualche giorno più tardi, Scorzeny riceve una soffiata dal fascista italiano Pomilio: « Mussolini è alla Maddalena! ». Si infervora e raduna allora un mini gruppo di marinai tedeschi per tentare un piccolo assalto, ma contemporaneamente l’Alto Comando di Roma riceve altre due soffiate diverse e la cosa procura indecisione e perdita di tempo prezioso. Comunque si precipitano sull’isola sarda ma è tardi ancora una volta: gli italiani hanno giocato ancora d’anticipo!  Siamo al 27 agosto. Il caos provocato poi dall’8 settembre si rifletté anche sul Gran Sasso. Un enigmatico radiogramma di Carmine Senise, mezz’ora prima del colpo di mano del bugiardo Scorzeny, raccomandava all’ispettore Gueli «massima prudenza», il che poteva significare che delle drastiche istruzioni finali di Badoglio non si dovesse più tener conto. Certo è che Gueli diede ai suoi uomini istruzioni che definirei, almeno, singolari : < armi automatiche accantonate nella cantina (?) chiuse nelle guaine e incappucciate, munizioni riunite e chiuse a chiave in un’altra stanza, cani-poliziotto stranamente legati alla catena negli angoli morti dell’albergo! >. Mah, la cosa non fa pensare ad una strenua volontà di resistenza; e in queste condizioni, come si poteva parlare di “un fortilizio inespugnabile?“. Mistero.

Però, facciamo ancora un piccolo passo indietro perché il punto NON è la liberazione in sé, ma il come hanno fatto i tedeschi a sapere che Mussolini era lì?

Arriva un colpo di fortuna per i tedeschi che a quel tempo controllavano le comunicazioni in Italia; viene intercettato un messaggio radio dell’ispettore Gueli a Carmine Senise che recitava: « i preparativi su… ed intorno al Gran Sasso sono stati portati a termine…attendo istruzioni…». Mussolini dunque, era lassù. Scorzeny ora aveva una traccia sicura ed informa Kappler che gli ordina di mandare subito qualcuno a vedere, a controllare il luogo.


Viene incaricato un giovane tenente medico: Leo Krutoff. Questi si muove immediatamente e si avvicina all’albergo Di Campo Imperatore fingendosi bisognoso di curare alcuni paracadutisti tedeschi feriti e chiede ospitalità che gli viene subito negata molto freddamente. Ritorna al comando dopo aver accuratamente visionato il posto. Student ordina al maggiore Hans Mors, un ufficiale 33enne svizzero che comandava il 1° battaglione del 7° reggimento nella 2° divisione paracadutisti, di preparare 12 alianti con un centinaio di uomini per portarsi su Campo Imperatore, con l’aggiunta, come osservatore, di Otto Scorzeny. Si sarebbe dovuto atterrare su di un fazzoletto di terra nelle vicinanze dell’albergo, mentre il grosso del battaglione avrebbe dovuto raggiungere la stazione inferiore in aiuto. Il tenente von Berlepsch ebbe il comando degli aviotrasportati e portò con sé anche il generale Fernando Soleti affinché i carabinieri, vedendolo, non osassero sparare…

Dei dodici alianti, solo 9 giunsero alla meta; due si fracassarono contro il cratere provocato da una bomba sulla pista, uno precipitò uccidendo tutti gli occupanti.

E qui comincia l’avventura del signor Bonaventura……(l’italianata!) Immaginiamo la scena dettata dai racconti.

I Carabinieri, nonostante le estreme raccomandazioni di sorveglianza e l’estrema lentezza di planata propria degli alianti, furono colti completamente di sorpresa! Erano circa le 14 del 12 settembre. Gueli stava facendo la pennichella e, al trambusto si affacciò nudo dalla sua camera e chiese ad un custode (il maresciallo Antichi): “ sono inglesi? ” –  ” No eccellenza, sono tedeschi! “. Mussolini, che nel frattempo si era affacciato, sbottò dicendo: “questa non ci voleva proprio!“. L’operazione andò avanti senza intoppi. Alla stazione inferiore, nel frattempo era arrivata una colonna tedesca composta da dieci carri armati, una quarantina di camionette cariche di soldati e altrettante motocarrozzette blindate che non incontrarono la minima resistenza. Scorzeny, spingendo come un burattinaio (era un omaccione imponente) il povero (pallidissimo) gen. Soleti, gridò: «non sparate, non sparate, prego!». E tutti alzarono le mani. Fantastico!

Dieci minuti dopo si concludeva la brillante operazione militare di cui Scorzeny si è vantato per 50 anni; in realtà, come si è detto, il merito fu del maggiore Mors e del pilota Gerlach che tentò fino all’ultimo di dissuadere Scorzeny a salire sul piccolo biposto; ma le insegne delle SS convinsero ad accontentare l’omone a rischio di compromettere tutto per il peso eccessivo. Il pilota forzò al massimo il motore e dopo un momento di apparente defaillance riprese assetto normale e la liberazione poté dirsi conclusa. Nei tedeschi si ferì solo un soldato; si ruppe un braccio cadendo da un aliante. Peccato. Potevano fare il percorso netto. Invece hanno finito a 999 punti. E a 1000 si vinceva una bambolina.

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