Nel mio archivio ho ripescato un antico documentario mandato in onda da Discovery Civilisation nel 2002 e, riguardandolo, mi sono reso conto che all’epoca avevo inteso una cosa un po’ diversa da quella che è stata veramente. Molti avranno sentito che Kursk è stata la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia, che è stata una grande vittoria sovietica e, di conseguenza, una cocente sconfitta per i tedeschi; ma le informazioni pervenute sullo scontro ci raccontano cose diverse. La mia non vuole essere una disamina militare sugli eventi, ma solo una prospettiva (laterale) sull’importanza delle decisioni e delle implicazioni che hanno determinato quegli eventi. La battaglia fu decisiva per le sorti dell’offensiva nel fronte orientale perché arrestò l’avanzata tedesca mettendo in luce tutti i limiti del totalitarismo imposto da Hitler. Quando in febbraio del ’43 il dittatore espose le sue direttive in quel settore d’attacco incontrò una fortissima perplessità dei suoi generali; in primis l’appena richiamato Heinz Guderian che gli domandò: « mio Fuhrer, quanti pensa che sappiano realmente dove si trova Kursk? Ritiene che le sorti di questa guerra cambieranno se decidessimo di non attaccarla?» e ancora «E’ sicuro che sia importante proseguire l’avanzata sul fronte orientale per quest’anno?» – A questo, Hitler rispose: « ha ragione! Ogni volta che ripenso a questo attacco mi si rivolta lo stomaco…». Guderian consigliò Hitler di mantenersi sulla difensiva perché, dalle notizie pervenute, i sovietici si erano molto rinforzati e le sue truppe avevano assolutamente bisogno di riposo. Gli espose la situazione che personalmente aveva constatato e che aveva rivelato che qualsiasi operazione offensiva su vasta scala sarebbe stata oggettivamente inattuabile, così come parimenti inattuabile sarebbe stata una “difesa rigida” su di un fronte di circa 700 chilometri, date le forze disponibili ed assolutamente insufficienti rispetto ai russi. Hitler fu scongiurato di non attaccare e di non mettere a repentaglio le proprie difese.
Con una certa moderazione, gli furono prospettate le possibili implicazioni di un possibile fallito attacco, compreso l’aspetto del morale dei soldati che andava via-via sgretolandosi sotto i colpi dell’artiglieria sovietica. Guderian stimò le forze in campo:
Non c’era proprio discussione. I generali illustrarono anche il resoconto delle risorse disponibili al momento, la preparazione delle truppe che al momento era ancora al di sotto della media in quanto molti erano riservisti ed appena arrivati. Hitler prende tempo e rimanda di qualche giorno la decisione. Ma all’inizio di maggio, galvanizzato dai contrattacchi nel settore di Char’chov del mese di marzo, diventa irremovibile: l’attacco si deve fare. Però gli ultimi due anni erano stati molto difficili per l’esercito tedesco ed avevano impegnato molte risorse in uomini e mezzi. Risorse che la Germania non poteva più rigenerare. Ed è a questo punto, dopo aver illustrato tutti gli aspetti positivi e negativi, che l’ostinazione di Hitler diventa il nemico più letale per il nazismo, che a quel punto non è più un credo politico, ma terribilmente militare. Se si superava il saliente di Kursk la direzione dell’attacco principale, doveva poi essere Leningrado. Solo qualche anno dopo la fine della guerra si saprà che l’Armata Rossa aveva attuato un piano di rinfoltimento per il suo esercito che garantiva un numero di uomini quattro volte superiore ai tedeschi, mentre una produzione di quasi 2000 carri al mese la metteva in una enorme posizione di vantaggio. Ora, questa insensata ed immotivata ostinazione di Hitler può essere codificata solo come una letale patologia che manda all’inutile massacro vite preziose, contemporaneamente, mettendo in pericolo l’intero fronte germanico nonostante il reiterato ammonimento di quasi tutti i generali al non farlo. I totalitarismi hanno generato vittime in entrambi i fronti, ma se le risorse erano già palesemente limitate in partenza le colpe diventano poi imperdonabili. Nel 1943 la malattia del dittatore comincia a distaccare il dittatore dalla realtà facendogli travisare la via della ragione che gli consentirà solo di disporre secondo il “drizzone” del momento ed al riparo dall’opinione altrui. In aprile si registra la serie di ritardi dell’offensiva tedesca dovuti alle riserve, mosse da Model e da Guderian, che lamentavano mancanza di uomini e carri armati e si confrontavano con i rapporti dei ricognitori che riportavano foto di ingenti file d’artiglieria sovietica e di truppe. In quei mesi, ai suoi generali aveva ripetuto: «Ci basterà dare un calcio alla loro porta e tutto l’edificio crollerà al suolo!».
Non era vero. Già dal 1941 la controffensiva russa aveva fatto conoscere la sua efficacia riuscendo quasi a sopraffare i tedeschi e dopo la sconfitta della 6° Armata a Stalingrado, Kursk sembrava essere l’occasione giusta per risollevare la propria reputazione di stratega. A condizione che l’operazione Cittadella (Unternehmen Zitadelle) fosse condotta fulmineamente (von Manstein dixit). Ma la ragione dei continui rinvii era che Hitler aspettava il completamento della produzione dei carri Panther e questi ritardi diedero il tempo necessario ai russi di ultimare il proprio spiegamento difensivo, studiato fin nei minimi particolari. E anche il fronte aereo russo si era evoluto assumendo un ruolo decisivo per numero ed efficacia. Hitler sapeva che anche la Luftwaffe stava per giocarsi il tutto per tutto. Quando la battaglia infuriò la morte e la distruzione incontrarono livelli mai raggiunti prima. Dal 5 luglio 1943, per diversi giorni, nessun esercito sembrò poter prevalere sull’altro. La chiave di volta fu a Prokhorovka; quando le armate tedesche raggiunsero la città non erano più in grado di respingere un contrattacco nemico; da parte sovietica invece, le officine stavano garantendo riparazioni e nuovi carri ogni giorno nonostante le enormi perdite. Come disse Zhukov: “le battaglie sono vinte dai generali, ma le guerre sono vinte dai popoli!“. Ed è vero. Da parte tedesca, la mancanza di riserve e la disarmante maggioranza di mezzi impedirono ogni possibilità di avanzata. Ma il 13 luglio, proprio mentre von Manstein aveva individuato dove poter sfondare le difese russe, giunse inaspettato l’ordine di annullamento dell’operazione Cittadella. Hitler convocò Manstein e von Kluge per comunicare loro che era sopraggiunta la necessità di trasferire truppe in Italia e nei Balcani (gli Alleati erano sbarcati in Sicilia e temeva per la Grecia). A quel punto, dopo aver insistito con tutte le sue forze, per scatenare l’attacco e aver ricevuto i rapporti delle perdite annulla tutto e nel giro di una settimana smembra ulteriormente le forze tra lo stupore e lo scoramento generale per spedirle in Italia. Come si può notare dalla tabella a lato, però i russi non possono arrogarsi il merito di aver vinto sul campo, anche con la possibilità di sostenere simili perdite. Certo che il mancato successo dell’avanzata e le ingenti perdite indebolirono definitivamente il fronte Orientale dove l’Armata Rossa stava prendendo l’iniziativa, rendendolo pericolosamente esposto ad un possibile futuro sfondamento.
Nota.
Anche in questo argomento i dati riportati in diversi testi non sono quasi mai allineati. Le differenze sono quantomai rilevanti.
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