« Sono stufo! – si lamenta il duce – di essere chiamato con il campanello. Io non oso, di notte, disturbare i servitori e… i tedeschi mi fanno saltare dal letto senza il minimo riguardo”. Ne ho piene le tasche di Hitler e del suo modo di fare! Questi colloqui non mi piacciono… E poi che razza di colloqui sono? Debbo per cinque ore assistere ad un monologo, abbastanza noioso ed inutile”… Ma sono sfoghi senza conseguenze. Anche se non sa rendersi conto del perché di questo precipitato colloquio, Mussolini si mette subito in treno per il Brennero senza fiatare, come al solito.
E’ il 24 agosto 1941. Lo accompagnano il generale Cavallero, l’ambasciatore Anfuso, il generale Gandin, il figlio Vittorio e l’ambasciatore tedesco von Mackensen, il generale von Rintelen e il colonnello delle SS Dollmann. Al Brennero si aggiungono alla comitiva il principe Urah, l’interprete Schmidt, l’ambasciatore italiano a Berlino Alfieri, il generale Marras e l’addetto stampa Ridoni. Il giorno seguente il treno speciale del duce si ferma a Rastenburg, in Prussia, dove avviene l’incontro con il Fuhrer, alla sede del suo quartier generale, in mezzo a una fitta foresta dì betulle trasformata da Hitler in un sinistro campo trincerato.
Il 26 agosto Hitler e Mussolini, con il loro seguito, salgono su due quadrimotori Condor e volano verso Brest Litowsk dove li accolgono il maresciallo von Kluge, comandante della quarta armata, e il maresciallo Kesserling, comandante delle forze aeree, che illustrano ai due capi i piani operativi della campagna di Russia. Rientrati a Rastenburg, iL 27 Mussolini e Hitler si mettono di nuovo in viaggio su due treni speciali e si dirigono verso Strychov, fra Leopoli e Cracovia.
Il 28, il quadrimotore del Fuhrer prende a bordo tutta la comitiva: Mussolini, Hitler, Ribbentrop, Dietrich, Himmler, Alfieri, Anfuso e altri del seguito e la trasporta a Uman dove aspetta il maresciallo von Rundstedt.
A venti chilometri dal piccolo centro russo, presso Tekuscha, il generale Messe, comandante del corpo di spedizione italiano, ha riunito reparti della divisione Torino e della legione Tagliamento che vengono passati in rassegna dal duce.
Gli italiani erano “motorizzati” ricorda Anfuso ed apparvero immobili sugli autocarri e presso le motociclette, a Mussolini e Hitler. La motorizzazione dava l’impressione di essere stata faticosa: su alcuni autocarri si leggeva ancora, sotto un’affrettata vernice, il nome della ditta italiana a cui erano stati requisiti: Birra Peroni, Fratelli Gondrand,Yoga, Magneti Marelli…
Quegli autocarri, chiaramente rimediati attraverso grosse fatiche e soprusi, erano quanto di meglio su cui il nostro corpo di spedizione potesse contare ed il primo dei numerosi incerti logistici su cui era basata la nostra partecipazione alla guerra di Hitler”.
Conclusa la visita, Mussolini e Hitler riprendono posto sull’aereo per rientrare a Leopoli. Durante il volo, il duce ha una trovata che fa impallidire tutti e specialmente le SS cui è affidata la vita del Fuhrer: chiede di poter pilotare l’aereo. Hitler, colto alla sprovvista dalla inaspettata richiesta del suo ospite, volge lo sguardo intorno a sé in cerca d’aiuto. Il primo pilota Bauer, fa un impercettibile cenno di assenso, e Mussolini, soddisfatto del panico che aveva provocato si dirige al posto di pilotaggio dove rimane per tre quarti d’ora a dare prova della sua bravura. Sono tre quarti d’ora di silenzio e di sudore freddo.
Finalmente, prima dell’atterraggio, il duce cede nuovamente i comandi al secondo pilota che riprende a respirare normalmente.
Da Rastenburg, il viaggio di ritorno si compie di nuovo in treno.
Il 30 agosto il duce rimette piede in Italia e si ferma a Riccione per godersi l’ultimo sole di fine estate. Non è tornato di buon umore dalla Russia.
Alla nostra ambasciata di Berlino si dice che i tedeschi al passaggio del duce esclamassero: “Ecco il nostro Gauleiter per l’Italia”.